mercoledì 29 agosto 2012



Così scriveva 40 anni fa Biagio Marin. A me sembra che non sia cambiato nulla ma forse mi sbaglio.......






Si celebra oggi l'80° anniversario dell'istituzione della Azienda autonoma di cura e soggiorno.



Forse sarebbe stato bello celebrarlo con un libro di storia bene documentato. Queste mie poche pagine le ho quasi im­provvisate sulla base di pochi appunti e di copie di documenti che, a suo tempo, avevo raccolto a questo fine. Purtroppo molte mie carte sono andate perdute distrutte da un incendio nella mia casa.

Comunque sia, io voglio provare di delineare un profilo della vita dell'ente, illustrando l'atmosfera in cui essa si è svolta. Auguro, proprio a questo proposito, alla mia città, di acquisire quanto prima, con la debita riflessione, la coscienza del valore della storia, del valore del nostro passato.

Vero è che gli uomini presumono di non avere nulla da imparare dal passato, e spesso, credono che la vita incominci con loro; anche quella delle amministrazioni. Così tesori di esperienza vanno dispersi e penso che, più che altrove, sono andati dispersi a Grado dove la vita delle persone sembra essere senza interiore continuità.

La vita dell'ente che oggi celebriamo, solo per astrazione la si può immaginare separata da quella dell'Azienda balneare, da quella del Comune, da quella di tutte le maggiori o minori imprese turistiche di Grado; anzi, di tutta la popolazione di Grado che, come vedremo, sia pure per accenni, ha influito sulle sorti della stazione di cura.

Non possiamo ignorare le particolari condizioni geofìsiche del breve lido di sabbia sul quale era sorto, forse già prima della venuta dei Romani, un villaggio di pescatori, diventato poi <'Castrum» romano, base navale, e più tardi sede del Patriarcato di Aquileia e quindi di quello istituito nell'VIII secolo e che si disse propriamente di Grado. Dopo tanta avventura Grado ritornò a essere il più miserabile e isolato villaggio di tutto l'Alto Adriatico.

Il mare, nel tempo, aveva sommersa buona parte del­l'isola; aveva ingoiato le campagne al di là del canale grande verso tramontana, aveva ridotto il lido sul quale era sorta la cittadina, agli ultimi termini, abbattendo tutte le difese che nessuno era più in grado di ricostruire.

Dietro ai Patriarchi e alla classe sacerdotale erano emi­grati verso le isole più felici i cittadini più abbienti, più colti e sul lido erano rimaste solo poche famiglie di pescatori, addossate, nel vecchio recinto del «Castrum», con le loro case intorno alle basiliche di S. Eufemia e di S. Maria. Contro questa ultima rovina il mare continuò a imperversare per secoli.

Il povero lido ancora rimasto, era completamente isolato, anche dal punto di vista umano. Alle spalle verso tramontana, erano sorti Stati barbarici, quali quello dei Longobardi, a cui seguirono i Franchi e poi la Germania degli Ottoni e degli Absburgo. Ad Aquileia era sorto uno Stato ecclesiastico che non era altro che un feudo dell'Impero tedesco retto sempre da Signori delle famiglie vicine ai reggenti dell'Impero.

Sul limite della laguna finiva lo Stato bizantino prima, e poi quello dei Veneti. E Venezia era potente, ma lontana.

Ma i secoli passarono: sparirono i Longobardi, i Franchi; i Tedeschi di Germania vennero allontanati dai Veneziani. E anche Venezia dogale sparì.

In tutti questi secoli di transizione verso la modernità, Grado rimase sempre un povero villaggio di pescatori, solo, isolato tra mare aperto e laguna. E si viveva di pesca in mare o di pesca nelle valli o nei canali della laguna.

È sintomatico che nella storia dei Veneti, pur così impor­tante, ricca e movimentata, si trovino nomi di uomini di tutte le città istriane, ma neanche uno di un gradese.

Sono cose che possono bruciare il nostro orgoglio di isolani solitari, ma è bene tenerle presenti.
Così in questa grande povertà di carne e di spirito si arrivò al momento della nostra nuova vita, che si è affermata molto lentamente e con grande travaglio.

Che la vita, quando la si riduce alle mere necessità, non comporta sviluppo, non comporta accrescimento, non comporta quel dramma in cui consiste veramente l'acquisizione dell'uma­nità, ma si riduce a una eterna ripetizione di gesti, di parole, di sentimenti che rendono impossibile il superamento dello stadio più primitivo. Tanti secoli di isolamento hanno condi­zionato e il nostro carattere e le nostre possibilità di parte­cipazione alla vita degli altri uomini, quella più larga vita che si svolgeva nelle città ma anche nei borghi di terraferma.

Avvenne dunque, che nell'anno, per noi veramente di grazia, 1873, arrivasse sull'isola il medico fiorentino Giuseppe Barellai, pediatra e filantropo; il quale aveva intrapreso un viaggio in cerca di un luogo di mare che offrisse le migliori condizioni per erigervi un ospizio marino, per bambini linfa­tici e rachitici. L'isola di Grado gli parve particolarmente adatta allo scopo. A questo fine andò a Trieste, andò a Go­rizia a propagandare la sua idea. A Trieste non trovò ascolto; lo trovò invece a Gorizia; e fu così che i goriziani e non i triestini, fondarono, poco tempo dopo, il primo ospizio marino austriaco, che accolse, e questo è un dato importante, non solo bambini della provincia goriziana ma di tutto l'Impero austriaco.

A questo punto dobbiamo ricordare che il Comune di Grado aveva concorso alla riuscita dell'iniziativa regalando il terreno necessario, e ciò con signorile larghezza.

Dobbiamo dunque alla classe dirigente della provincia di Gorizia e Gradisca la realizzazione di questa istituzione che ha avuto poi tanta importanza di richiamo per i bagni di Grado.

E sia detto fin d'ora che dobbiamo ai dirigenti della Provincia una continua provvidenziale presenza, e magari tute­la, nello svolgersi della nostra vita turistica, nello sviluppo della stazione balneare.

Un'attrezzatura turistica e fosse pure povera, a Grado non esisteva per la semplice ragione che non esisteva neanche una piccola borghesia che possedesse e abitasse in case che potessero ospitare durante l'estate gli ospiti balneari.

Vi era un'unica trattoria «Agli Amici» di Antonio Mar­chesini. Ma era insufficiente. Sorse dunque una seconda trat­toria appena si delineò il movimento balneare, e fu chiamata albergo «Miramare» ed era ubicata in piazza della Corte, ora piazza della Vittoria.

Nel 1876, per l'intervento del generale austriaco Wimpfel, era stato inaugurato il telegrafo, che fu certamente anche esso un importante fattore di sviluppo.

Dopo il 1880 arrivarono a Grado i primi ospiti viennesi e al porto sorse l'Hotel «Cervo d'Oro». Più tardi, al porto viene messo in esercizio l'«Hotel Grignaschi». La Fabbrica Puntigam, di Graz, fa fabbricare, nel 1890, un modesto ma elegante albergo chiamato pomposamente l'«Hotel de la Ville», che funzionò poi anche come «Casino di cura».

Nella seduta del 25 maggio 1904 il Comitato di cura deliberò la costruzione di un «Casino di cura» vero e proprio. Rimase un semplice voto. Speriamo che l'attuale Amministra­zione comunale lo possa realizzare, sia pure con qualche ritardo rispetto al 1904, entro il 1974. Non è mero caso che quell'opera, da tutti ritenuta necessaria, finora non si sia realizzata e di progetti ne sono stati fatti parecchi e uno, quello dell'arch. Baresi, era andato a rischio di essere realiz­zato poiché si era già costruita la platea in cemento armato sulla quale erigere l'edificio.

L'isolamento di Grado rispetto alla terraferma, era reso più grave dal sistema naturale dei canali dell'estuario. V'era un piccolo porto fluviale ad Aquileia, costituito da 20 metri di banchina prospiciente il municipio sulla Natissa. Ma arrivare a quella banchina non era facile.
I Gradesi provvidero allora, dopo il '90, alla costituzione di una prima società di navigazione lagunare e misero in ser­vizio un minuscolo vaporino, il «Cesare»; e dopo del «Cesare» il «Barbana» e dopo ancora il «Grado». Nel '96 entrò in servizio l'«Aquileia», un vaporino che era stato costruito per noi a Lussino ma che la leggenda, subito sorta, voleva fosse venuto dall'Inghilterra. Era il nostro «celere» e rispetto alle precedenti vecchie carcasse costituiva il nostro orgoglio. Ben presto fu inaugurata la linea di navigazione per Trieste col piroscafo «Magdala» che però metteva due ore e mezzo per arrivare a Trieste e con un po' di scirocco o di libeccio faceva star male tutti i passeggeri.

Va detto, che a condizionare lo sviluppo della stazione bal­neare fu un fatto decisivo che precedette l'istituzione della stazione di cura: nel 1900 per la tenace volontà di un podestà gradese, Giacomo Marchesini, fu dato inizio e compimento allo scavo di un pozzo artesiano profondo 217 metri. L'opera costò al Comune 26.606 Corone ivi comprese le 5 Corone per la benedizione del pozzo e la susseguente Messa, come ci informa nel suo opuscolo edito a Milano nel 1905 l'ingegner
Pompeo Bresadola di Gorizia. Da una misurazione fatta nel 1904 il pozzo artesiano dava 1500 me. d'acqua nelle 24 ore.

Questa dell'acqua è una delle più belle pagine della no­stra modesta storia comunale di quei tempi.

Si pensi quale doveva essere la situazione dell'isola quan­do, nelle grandi estati, e quindi proprio durante la stagione dei bagni, i pozzi e la cisterna comune, che sorgeva in piazza dei Patriarchi, non avevano più una goccia d'acqua, e per bere, si doveva andare a prenderla nel modo più primitivo con dei battelloni, nella Natissa.

Così la si beveva senza neanche farla bollire; poi le infezioni intestinali mandavano all'altro mondo soprattutto i bambini. Oppure, e l'ho fatto anch'io, si andava in spiaggia con secchie e mastelle, si scavava una buca abbastanza pro­fonda e si prendeva l'acqua che filtrava, che era pur sempre salmastra. La dicevamo «salmastrela».

Con legge 25 giugno 1892 Grado ottenne dal Governo austriaco l'iscrizione nell'elenco ufficiale di cura marina e fu istituita la Commissione di cura autorizzata a imporre la tassa di cura e ad amministrarla. Dopo soli 14 giorni seguiva il Regolamento di cura per la sua applicazione.
In esso si fissano le incombenze del Comitato che erano:

1) l'amministrazione del fondo di cura e l'esazione delle tasse;
2) la nomina degli impiegati e del personale di servizio;
3) le disposizioni per facilitare la venuta dei forestieri;
4) la creazione di nuove istituzioni atte a promuovere l'interesse del luogo di cura come: passeggi, vie, impianto d'alberi e giardini;
5) di togliere per quanto possibile tutto ciò che potrebbe riuscire nocivo alla fama del luogo di cura; 6) di adoperarsi con tutti i modi migliori per la buona riuscita del luogo di cura;
7) l'elezione della Giunta di cura;
8) di pren­dere ingerenza per il conveniente collocamento degli ospiti.
Evidentemente queste incombenze trascendevano di molto le possibilità finanziarie dell'Azienda, ma anche quelle che dirò politiche fin che c'era da combattere con la mentalità molto arretrata della popolazione e con la povertà del Comune.

Nello stesso anno 1892, il Comune, con non lievi sacri­fici, costruiva uno stabilimento balneare sopraelevato su tron­chi di rovere e che venne demolito, dopo aver fatto un lungo importante servizio, nel 1934. Anche questa importante inizia­tiva onora il Comune di allora.

Nello stesso anno i fratelli Marchesini, che tra le fami­glie gradesi erano i più presenti alla nuova vita turistica, aprirono l'«Hotel della Posta», e pochi anno dopo, tra il 1894 e il '95, si costruì il grande «Hotel Fonzari» con 100 stanze e bagni caldi a ogni piano.
Quel Giacomo Fonzari che fece costruire l'imponente al­bergo, tuttora in funzione, non lo si dovrebbe dimenticare.

Prima del 1892, e anche prima della venuta a Grado del Prof. Barellai e della susseguente erezione del primo Ospizio Marino Austriaco, pochi erano gli ospiti estivi e venivano dal goriziano e dal Friuli udinese. Il più celebre di essi fu Ippolito Nievo che scrisse anche una novelletta ambientata a Grado.

L'istituzione dell'Ospizio Marino posto sotto la protezione della Arciduchessa Stefania, richiamò su Grado l'attenzione dei medici dei centri tedeschi dell'Austria e, in principio, spe­cialmente di Vienna.

Ma già nella seduta del 30 agosto 1893 il vice-direttore dell'Azienda di cura, il medico dott. Candidi, ammoniva il Municipio di Grado a intervenire contro il miserevole stato

dell'igiene ambientale perché vi era il pericolo che le correnti turistiche d'Austria e Ungheria non si sviassero a causa, diceva lui, « della trascuranza e della rilassatezza presente ». Diceva dunque il dott. Candidi che bisognava garantire la purezza assoluta dell'aria e dell'acqua. È vero che ormai avevamo il pozzo artesiano, ma non ancora un aquedotto che portasse l'acqua nelle case e poche erano le fontanelle per le strade.

Non c'erano in paese né cessi pubblici né privati e non fognatura di sorta; e il Candioli deplorava la poca nettezza della popolazione locale, e il metodo di gettare le materie fecali in mare, per cui non solo l'aria era piena di odori «inominabili», come diceva lui, ma che anche l'acqua nel recinto del bagno era spesso inquinata e ingombra di feci.

Il Candioli lamentava anche che le piantagioni degli alberi (piantati con tanta spesa) non fossero riuscite; che il riposo notturno non fosse possibile per gli schiamazzi e i bagordi e i canti.

E di altre cose si lamentava, ma insisteva sulla necessità della costruzione dei cessi pubblici e privati. Il sole, il mare, la spiaggia erano divinamente belli; ma il mondo degli uomini ancora non rimava con essi.

Risulta comunque che nella stagione balneare dal 10 aprile al 15 agosto 1904 su 1764 famiglie venute da fuori, 649 erano italiane; 721 provenivano da Vienna; 192 da Graz; 25 da Leopoli; 80 da Lubiana; 36 da Praga e 57 da Budapest.

Questi dati li ho desunti dal citato opuscolo dell'ing. Bresadola. Ecco che è già chiaramente delineata, fin da allora, quella che fino al 1914 sarà la fisionomia etnica o nazionale della nostra stazione balneare.

Nel primo dopoguerra fu assai importante il concorso dei cecoslovacchi e notevole quello dei polacchi, oltre a quello dei tedeschi.
Il disordine e la trascuratezza dell'amministrazione co­munale, inducono l'Azienda di cura a invocare l'intervento delle autorità di tutela rappresentate dall'esecutivo della Giunta Provinciale, allora nelle mani dei Liberali, a capo dei quali stava l'avv. Pajer e, dopo di lui, il dott. Pettarin.
Sono dunque i liberali stessi goriziani a proporre allo Stato la sottrazione al Comune della amministrazione della Azienda balneare.

Ciò avvenne con la legge statale del 24 aprile 1907 che all'art. 1 detta: « Gli stabilimenti comunali del luogo di cura marina di Grado saranno da considerarsi come un istituto autonomo comunale ».

 All'art. 2 si dispone: « La gestione di tutti gli affari con­cernenti l'amministrazione di tali stabilimenti balneari, sarà affidata ad apposito Curatorio... », e l'art. 3: «...spettano al Curatorio tutte le attribuzioni, che secondo il Regolamento comunale per la Contea Principesca di Gorizia e Gradisca, sono incombenza del Podestà e del Consiglio Comunale in riguardo alla amministrazione delle facoltà del Comune, rispet­tivamente degli Istituti Comunali. Le deliberazioni del Cura-torio sono obbligatorie per il Comune di Grado ».

E all'art. 9 si dice: « L'amministrazione degli stabilimenti balneari, verrà condotta nello interesse e per conto del Co­mune ».
Evidentemente giudice di quell'interesse era soltanto il Curatorio.

È facile immaginare la reazione passionale dei gradesi di tutte le classi; ma a nessuno passò per la testa che quel provvedimento era stato provocato dall'inadeguatezza dell'Am­ministrazione comunale rispetto alle necessità del luogo di cura che, in fin dei conti, costituiva in buona parte l'avvenire di Grado.

La funzione dell'Azienda di cura era stata via via rego­lata oltre che dalla legge e dal regolamento fondazionali del 1892, da un terzo regolamento del dicembre del 1901; e poi da quello seguente alla istituzione dell'Azienda autonoma degli stabilimenti balneari, il regolamento del 1908.

La grande novità di questo regolamento era nell'art. Ili che suonava: « La Commissione di cura si compone: a) dai membri del Curatorio per l'amministrazione degli stabilimenti balneari come indicati al paragr. 2 della legge 24-1-1907... ».
« Il Presidente del Curatorio è contemporaneamente Di­rettore della Commissione di cura e, il Curatorio, quale Dire­zione di cura, è l'organo esecutivo della Commissione di cura ».
Il Curatorio è costituito per la legge del 24-4-1907 come segue:

1) dal Podestà di Grado;
2) da una persona delegata dalla Luogotenenza di Trieste, nonché da un Sanitario dello Stato da essa designato;
3) da una persona delegata dalla Giunta Provinciale della Contea Principesca di Gorizia e Gradisca.

Come si vede, tre membri su quattro, sono delegati delle autorità politiche della Regione e della Provincia.

Il Regolamento di cura del 1908, conformandosi alla Legge istituzionale del Curatorio, prevede all'art. 3:

La Commissione di Cura si compone:
a) dai membri del Curatorio;
b) da due ospiti in cura;
c) da due proprietari d'albergo.

 Si noti però che gli ospiti in cura e i proprietari di albergo vengono designati dalla Luogotenenza di concerto con la Giunta Provinciale.

Nel Regolamento del 1911 ai membri previsti dal Rego­lamento del 1908 si aggiungono:
1) un medico dell'Ospizio Marino;
2) un membro del Direttorio della Società per il Movimento dei Forestieri a Grado. Ma, anche questi, su designazione della Luogotenenza di Trieste d'accordo con la Giunta Provinciale di Gorizia.
Come si vede un regime strettamente autoritario, di tutela.
Possiamo qui rilevare che neanche lo Stato italiano ha creduto di dovere restituire l'amministrazione degli stabilimenti balneari al Comune.

Fa impressione leggere il paragrafo settimo che prevede che « L'autorità politica distrettuale è chiamata a sorvegliare l'attività della Commissione di cura e il trattamento degli affari di cura ».
Non si può fare a meno di chiedersi come mai si sia arrivati a tanto rigore.

Né il regolamento dell'aprile 1911, come già detto, ha mutato la situazione.
D'altro canto, non si può negare l'importanza e l'utilità della quasi fusione dei due enti, che pur conservano i propri bilanci separati. Erano istituti necessariamente complementari per la loro funzione. Che ci fosse un unico esecutivo, permet­teva un'unica politica turistica, un'unica politica della propa­ganda, una maggiore sensibilità nell'amministrazione degli sta­bilimenti balneari, nel perfezionamento dell'attrezzatura e in­fine una maggiore accortezza nella fissazione delle tariffe.

Così l'Azienda di cura acquistava, anche di fronte al Co­mune, quella autorità che le era necessaria per esigere più pulizia, più ordine nella vita cittadina e più autorità di fronte agli interessi particolari degli albergatori, a volte, in antitesi con gli interessi generali della stazione, vuoi per grettezza, vuoi per incomprensione dei problemi da affrontare e vuoi per specifica impreparazione alla gestione di strumenti turistici.

Il Comune, nella sua politica, non poteva non essere in­fluenzato dagli interessi particolari dei cittadini, e qualche volta perfino dagli interessi particolari degli amministratori.

Ed è pur utile, per capire il grave provvedimento della legge 25-4-1907, che da allora ha condizionato direttamente o indirettamente la nostra situazione, ricordare che dal 1905 al 1934, dunque in 29 anni, il Comune ebbe 21 amministra­zioni diverse, di cui solo 10 regolari, e undici costituite da gerenti o commissari. Sono cifre dure e precise che possono far riflettere. La stessa Azienda di cura in 42 anni e precisa­mente dal 1892 al 1934 ebbe 31 amministrazioni diverse. In 42 anni 31 diverse amministrazioni e si pensi che cosa ciò può significare per un ente industriale come l'ente turistico; si pensi allo sciupio di mezzi e di esperienze in questa man­canza di continuità.

La guerra del 1915-18 e poi la seconda guerra mondiale hanno interrotto lo sviluppo della stazione di cura nata e cre­sciuta tra tante difficoltà.

Lo so: c'erano e ci sono di mezzo difficoltà oggettive, ma ci sono stati anche molti e grandi impedimenti creati dagli uomini.

E ora dirò cosa che potrà scandalizzare: il fatto che il Comune fosse il proprietario dei fondi di costruzione, è stato uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo turistico di Grado, messo al passo dagli interessi particolari dei cittadini e perfino, lo ripeto, da quello degli amministratori che riducevano l'or­gano del Comune a istrumento subordinato ai loro interessi e anche alle ubbie e alle invidie di coloro che avrebbero vo­luto accaparrare per i propri fini le possibilità del futuro e gli strumenti della comunità.

Una breve elencazione di fatti servirà a giustificare il mio giudizio.

Nel 1904 — dico 1904 — gli ingegneri Dreossi e Antonelli avevano comperato una valle a ridosso dell'isola della Rotta e volevano farla rendere. Offrirono pertanto al Comune di Grado di costruire a proprie spese una strada di otto metri di larghezza, alberata, che dalle ville Bianchi, attraver­sando la sacca, portasse alla Rotta. Quella strada avrebbe an­ticipato di un 25ennio lo sviluppo non solo degli stabilimenti balneari ma di tutta la stazione. Il Comune rifiutò.

Nel 1908 il barone Morpurgo di Trieste aveva costituito una società di ricchi borghesi triestini, per creare, a Primero, una specie di villaggio balneare moderno, come ora si fa su grande scala in Jugoslavia. La borghesia triestina era usa a mandare le famiglie a Cattolica, a Rimini o magari a Viareggio, ma non a Grado che mancava allora della necessaria attrez­zatura. Nessun albergo aveva un luogo di ritrovo; non vi era in tutta Grado un giardino, ecc. I triestini pensarono perciò di creare a Primero una loro base balneare e avrebbero costrui­to a proprie spese una elettrovia che doveva congiungere Pri­mero con Grado. La reazione degli albergatori gradesi, che allora erano pur tanto pochi, indusse il Comune a dire di no.

Nel 1911 venne a Grado il Principe Hohenlohe accom­pagnato dal Capitano distrettuale Gasser per informare il po­destà che la società delle Ferrovie Meridionali austriache aveva l'intenzione di comprare l'isola di Gorgo, di costruirvi un Ca­sino di Gioco internazionale e di costruire anche, a Grado, un grande albergo, come aveva già fatto ad Abbazia. Si sareb­be portata inoltre la ferrovia Cervignano-Belvedere fino alla testata del canale, costruendo naturalmente il terrapieno necessario che ora è la strada Mosconi. La Ferrovia Meridionale chiedeva al Comune un modesto contributo per la costruzione della strada ferroviaria da Belvedere al Canale di Grado. Ma in quell'anno stesso era stata creata una Società per la navi­gazione lagunare con motoscafi e per l'unico motoscafo di undici metri allora in possesso di detta società, il Luogote­nente Hohenlohe si ebbe dal podestà un diniego.



Nel 1925 l'amministrazione balneare deliberò di creare il Parco dietro alla spiaggia su un'area che era ancora in parte acquitrinosa e paludosa. Fu presentato alla Prefettura un ri­corso con 200 firme. Il Prefetto s'era spaventato e chiamò me a spiegargli perché veramente si volesse creare quel parco. Le ragioni addotte gli bastarono e il parco fu fatto.



In quegli anni, non ricordo l'anno preciso, le Colonie straniere di bambini erano in forte crescita; si presentarono nel mio ufficio il Ministro di Cecoslovacchia per l'assistenza sociale Winter, e il Luogotenente della Stiria dott. Antonio Rintelen. Erano due affezionati di Grado. E un giorno mi chiesero perché non si pensasse a una seria organizzazione di tutte quelle Colonie, organizzazione che avrebbe potuto dare a Grado una fama anche più grande di quella che aveva, e soprattutto un importante concorso di forestieri. I miei due ospiti erano riusciti in pochi mesi a indurre l'uno le Casse Ammalati della Cecoslovacchia, l'altro quelle di Vienna e degli altri centri più importanti dell'Austria a impegnarsi con un contratto di dieci anni di mandare a Grado la Cecoslovacchia seimila ragazzi ogni anno per la durata d'un mese, e altrettanti le Casse Ammalati dell'Austria. Vi era una difficoltà formale e, per noi, materiale. Noi avremmo dovuto costruire alla Rotta gli impianti necessari.

Comunque a me parve il problema degno di considera­zione e pertanto mi presentai, per esporlo, davanti all'assem­blea degli albergatori e davanti a quella dei commercianti.

Il loro intervento presso la Prefettura mise fine a quella iniziativa.

Nel 1934 lo Stato polacco chiese al Comune, per il tra­mite del Ministero degli Esteri, il fondo necessario per costruir­vi una Colonia per 400 bambini (si trattava di 400 per ogni turno e per vari mesi all'anno). Il Comune negò il fondo.

Potrei citare altre iniziative importanti ma inattuate per una continua resistenza ambientale.

Anche la costruzione del Ponte trovò nella popolazione molta resistenza.

Forse si potrà dire che quei tempi sono lontani; ma proprio in questi giorni si sono raccolte già 800 firme contro un'iniziativa di un gruppo finanziario, iniziativa di cui nessuno conosce i termini precisi.

Siamo afflitti da uno strano complesso di inferiorità, e abbiamo bisogno che i responsabili dell'andamento della Pro­vincia e della Regione ci aiutino a superare le nostre difficoltà che non sono soltanto materiali ma anche psicologiche.

Sento mio dovere di ricordare in questa occasione le benemerenze di alcune personalità tra gli albergatori del primo tempo nostro: così i fratelli Marchesini per il loro albergo «Alla Posta»; il signor Enrico Grignaschi per il suo albergo al porto; il già detto Giacomo Fonzari, costruttore del «Grand Hotel Fonzari»; il barone Leonardo Bianchi che tra il 1900 ed il 1902, in assoluta anteprima, fece costruire le sue 5 ville sulla spiaggia, che ancora oggi si presentano deco­rosamente. Voglio ricordare inoltre la signora Emma Auchen-taller che fece costruire dall'arch. Majreder di Vienna, la sua pensione «Fortino». Va ricordata anche la nobile persona del medico dott. Maurizio Oranz, che aveva dotato il suo albergo di una sala con apparecchi per cure degli arti; e anche voglio

Ricordare il dott. Zipser, lacui casa fu centro della clientela polacca. Tra gli amministratori mi sia permesso di ricordare il rag. Franco Bullo a cui si deve la costruzione delle Terme Marine.

Non chiediamo più la tutela ma la illuminata cordiale collaborazione degli uomini della Regione e della Provincia.

Esistono leggi dell'economia vitale che da tutti devono essere rispettate se si vuol progredire.

È pure un fatto molto importante che le amministra­zioni ora durano dirette dagli stessi uomini per parecchi anni. Questo fatto dà a ben sperare. E dobbiamo onorare le persone che hanno portato in porto le premesse per la costruzione delle nuove Terme nell'ambito dell'Azienda balneare, e del Palazzo dei congressi nell'ambito del Comune. Vanno altamen­te onorate; si tratta di due iniziative che impegnano fortemente tutta la vita della stazione di cura, e che richiedono quindi quella convergenza di sforzi, quella solidarietà che sole pos­sono far superare le difficoltà immanenti.

L'80° anniversario dell'istituzione dell'Azienda di cura e soggiorno — poiché vi ha un'assoluta continuità di azione e di fini — si presenta sotto i migliori auspici e, dopo tanta tribolazione, vogliamo augurarci che il senso di responsabilità di tutti i cittadini, aiuti gli amministratori a superare ogni dissido personale per arrivare alla collaborazione più cordiale.
La storia dello sviluppo di Grado è un poco la storia degli imbonimenti. Prima quello della Valle dei Corbatto, poi quello del retrospiaggia fatto da Sarcinelli; poi quello di San Vito; poi quello dell'Isola della Schiusa; e, in fine, quello della Sacca che è andato anche oltre ai limiti della Sacca, ed ha creato alla pineta della Rotta un retroterra che va fino al Canale dei Moreri.

Oso dire che questi imbonimenti segnano anche supera­menti psicologici e di mentalità, e che hanno certamente reso possibile una più larga atmosfera umana, oltre che allargare l'area fabbricabile.

È caratteristica di Grado balneare, di non essere stata avulsa dagli interessi del popolo gradese; i quali sono stati sì, a volta, di impedimento del nostro sviluppo; ma è anche vero che con l'aiuto del Turismo ci siamo tutti riscattati dal­l'originaria povertà e, almeno parzialmente, dalle tare dovute al nostro secolare isolamento.

L'Azienda di cura di oggi può farsi legittimamente rap­presentante, accanto al Comune, del lungo e non facile nostro itinerario.

Biagio Marin

Grado, 26 marzo 1972